1. Stringendovi a lui, pietra viva [...] anche
voi venite impiegati come pietre vive per la
costruzione di un edificio spirituale (1 Pt 2,
4-5). L’affermazione della I Lettera di Pietro
indica il senso profondo della liturgia che
stiamo celebrando in questa chiesa, che già da
qualche tempo vi accoglie, ma che oggi, col
solenne rito della dedicazione, assumerà
pienamente la sua funzione. Viviamo un’ora di
gioia che, ne sono certo, si inciderà
profondamente nella vostra memoria. Questo
tempio fa ormai tutt’uno con la vostra Comunità
parrocchiale e col vostro territorio. Fra le
vostre case sarà testimone del nascere e del
morire, della crescita dei vostri figli, della
fatica del vivere quotidiano. Tra i tanti luoghi
di culto di Roma, voi sentirete questo come il “vostro”.
Ma al di là di tale significato affettivo e
funzionale, esso avrà per voi un senso ancora
più alto, quale simbolo della Chiesa, mistero di
comunione, immagine nel tempo dell’eterna vita
trinitaria. Non a caso, fin dall’antichità, il
termine “chiesa” è stato usato per indicare sia
la Comunità sia il luogo in cui essa si riunisce.
Le due realtà si richiamano a vicenda: il luogo
rimanda al mistero. A tale mistero vuole appunto
introdurci la parola di Dio appena proclamata.
2. “Non vi rattristate, perché la gioia del
Signore è la vostra forza” (Ne 8, 10). La prima
lettura, tratta dal Libro di Neemia, ci ha
riportati ad un momento significativo nella
storia del popolo dell’Antica Alleanza, quando
finalmente, negli anni successivi all’esilio, si
poté ricostruire il tempio, e intorno ad esso,
pur tra tante difficoltà, rifiorì l’adesione
alla legge del Signore. Rifiorì il popolo
dell’Antica Alleanza. È importante sottolineare
questa connessione tra il tempio e la legge: di
fronte alla facile tentazione di una religiosità
ridotta a cultualismo, la riforma di Esdra e
Neemia chiedeva innanzitutto un impegno
spirituale testimoniato nell’esistenza.
L’alleanza di Dio col suo popolo doveva essere
celebrata non solo nei riti del tempio, ma
soprattutto nel culto della vita. Sappiamo quale
parte avesse il tempio nell’antico Israele, ma
anche quanto frequente fosse la tendenza a
ridurlo a luogo di pratiche religiose, non
radicate nel cuore e nella vita. Ai tempi di
Gesù, esso era stato ricostruito per la terza
volta, e la sua monumentale bellezza riempiva di
orgoglio gli israeliti. Gesù dovrà difenderlo
severamente dagli abusi di una religiosità
superficiale e mercantile: “Non fate della casa
del Padre mio un luogo di mercato” (Gv 2, 16).
In questo modo il Signore, con il peso della sua
divina autorità, ribadiva gli sforzi tante volte
compiuti dai profeti per riportare il popolo di
Dio sulla strada dell’autentica fedeltà
all’Alleanza. L’intero Libro di Neemia si muove
in questo solco, presentandoci un popolo deciso
finalmente a tornare alla legge del Signore, di
cui il nuovo tempio sarà custodia e simbolo. Un
ritorno ricco di esultanza: “La gioia del
Signore è la vostra forza”.
3. Cristo è la “pietra viva, rigettata dagli
uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” (1
Pt 2, 4). Come abbiamo ascoltato nella seconda
Lettura, egli sarà d’ora in poi il tempio di Dio
fra gli uomini, tempio della Nuova ed eterna
alleanza, tempio che trascende le misure
terrene, che ha il suo compimento nel cielo,
nella vita divina. Con Gesù, infatti, anche la
teologia del tempio era destinata ad una svolta.
Proprio nel tempio di Gerusalemme egli annuncia
una nuova economia di grazia, additando la sua
persona come il nuovo tempio, che gli uomini
cercheranno di abbattere, ma che la potenza di
Dio in tre giorni ricostruirà (cf. Gv 2, 19-22).
È chiara l’allusione alla risurrezione, che farà
rifulgere la sua divinità nel tempio vivente del
suo corpo. “Piacque a Dio – dice Paolo nella
Lettera ai Colossesi – di fare abitare in lui
ogni pienezza” (Col 1, 19). Appunto tale
pienezza, messianica e divina, è confessata da
Pietro, nel brano del Vangelo appena proclamato:
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”
(Mt 16, 16).
4. Ma perché dunque siamo qui, a dedicare questo
edificio al Signore, se ormai non c’è che un
solo tempio, una sola “pietra viva”, un solo
luogo di salvezza, nella persona di Gesù? In
realtà, questo tempio ha senso proprio perché
esprime tale realtà soprannaturale interamente
centrata sul Redentore. La Comunità cristiana,
fin dai primordi della sua storia, ha avuto
bisogno di località per radunarsi. All’inizio
erano le case stesse dei cristiani a fungere da
chiese. Poi nacquero edifici destinati
specificamente al culto. Tuttavia, mai va
dimenticato il nuovo significato del tempio
cristiano: al di sotto delle architetture c’è
una vita, e questa vita, in ultima analisi, è il
mistero di Cristo, simboleggiato in particolare
dall’altare, da cui ogni giorno, nella
celebrazione eucaristica, si irradia nei
credenti la luce del mistero pasquale.
5. Questo chiama in causa noi, “pietre vive”
destinate ad essere, secondo la parola della
Prima Lettera di Pietro, unite a Cristo, “pietra
angolare”, per formare un edificio spirituale,
un sacerdozio santo. Questa dimensione
ecclesiale del “tempio” ci viene richiamata, da
altra angolatura, anche dal brano del Vangelo
appena proclamato, lì dove esso addita il ruolo
fondamentale di Pietro nell’edificio vivente che
è la Chiesa: “Tu sei Pietro, e su questa pietra
edificherò la mia Chiesa” (Mt 16, 18). Così
abbiamo una visione neotestamentaria: tempio
vivo, pienezza della dimora di Dio con tutto il
genere umano, è Cristo, che con Pietro fonda la
sua Chiesa chiamandola Pietra viva. E,
all’interno di questa istituzione vengono
edificate le pietre vive che siamo noi quando ci
riuniamo intorno a Cristo attraverso il
ministero di Pietro e di quelli che lo
condividono. E così ogni tempio cristiano, come
quello che oggi dedichiamo, sta ad indicare il “Christus
totus”, il Cristo capo e le sue membra. La
Chiesa-edificio è a servizio della
Chiesa-comunione: è strumento della sua unità,
della sua crescita, della sua santità. Alla luce
di questo significato spirituale del tempio, si
comprende anche il senso dell’antica
consuetudine, per cui ogni chiesa deve avere un
titolo desunto da qualche aspetto del mistero
divino o dal riferimento alla celeste Madre di
Dio o ad un Santo. Non si tratta solo di dare il
nome ad un edificio, ma di richiamarne la
sacralità, ricordando al popolo cristiano la
vocazione alla santità di ogni battezzato.
6. A voi, carissimi Fratelli e Sorelle, questa
altissima vocazione sarà ricordata da un
luminoso testimone del nostro tempo, san
Giuseppe Moscati, che ho avuto la gioia di
elevare agli onori degli altari. La sua fu la
santità di un laico, immerso nella realtà e nei
problemi della vita quotidiana, ma radicato
profondamente nella contemplazione. Era, come
sapete, un medico: si ricorreva a lui per le
sofferenze del corpo, ma da lui si riceveva ben
più di una prescrizione sanitaria. Egli sapeva
guardare alle persone con gli occhi di Dio. Non
si poneva come un arido professionista: era il
fratello, che sapeva farsi tutt’uno con il
dolore dei pazienti, avvolgendoli con la
tenerezza del suo cuore. Si può dire che curasse
gli ammalati, oltre che con le risorse della sua
riconosciuta competenza, con il calore della sua
umanità e la testimonianza della sua fede. Certo
non gli mancarono difficoltà e fatiche, ma aveva
scoperto nell’Eucaristia, nell’ascolto della
Parola di Dio, nella partecipazione alla vita
della Comunità cristiana, la sorgente
inesauribile a cui attingere per ritemprare le
forze. Oggi, in questa particolare circostanza,
San Giuseppe Moscati ripete a voi, membri di
questa Comunità che lo ha scelto come patrono:
coraggio, come è stato detto a me all’inizio di
questa visita. Abbiamo bisogno di essere
incoraggiati tutti da tutti. Coraggio, la
santità è possibile; è possibile in qualunque
situazione, nonostante i condizionamenti del
male. Alla crisi del nostro tempo può dare una
risposta adeguata solo una grande fioritura di
santità. Per questo ci vuole coraggio, il
coraggio che ci danno i Santi e una chiesa
dedicata a un Santo ci dà coraggio attraverso il
profondo mistero di Cristo vissuto, attuato e
compiuto da San Giuseppe Moscati.
7. In questo nuovo tempio, carissimi Fratelli e
Sorelle, voi avete un grande aiuto. Qui potrete
sperimentare, ogni volta che lo vorrete, la
potenza rigeneratrice della preghiera personale
e comunitaria. Vi incontrerete tra queste mura
non come estranei, ma come fratelli, capaci di
darsi volentieri la mano. Con questi sentimenti
tutti di cuore vi saluto: dal Cardinale Vicario
Camillo Ruini, al Vescovo Ausiliare di Settore,
Mons. Giuseppe Mani, al vostro parroco, don
Francesco Porcelli, ai sacerdoti collaboratori,
ai Religiosi, alle Religiose, a quanti
attivamente operano a servizio del popolo
cristiano, a voi tutti qui presenti. So che
vostro sforzo diuturno è percorrere insieme un
vero cammino di fede. Vi incoraggio a proseguire
con generosità nel vostro sforzo, avendo
un’attenzione speciale per la famiglia, cellula
fondamentale della Chiesa e della società. Vi
sono tra voi molte famiglie giovani. Non manchi
loro l’aiuto e il calore della comunità, perché
si conservino solide nella fede e nell’amore e,
all’occorrenza, si sentano sostenute anche nelle
loro necessità materiali.
Da una attenta cura pastorale ai nuclei
familiari si potrà sperare un incremento delle
vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa,
ma soprattutto un incremento delle vocazioni
alla vita cristiana. È sempre il Signore che
chiama, ma occorre favorire l’ascolto della sua
chiamata e incoraggiare la generosità della
risposta. Siate solleciti nel seguire i giovani,
perché non si sentano abbandonati a se stessi,
tra le mille difficoltà della vita. In
parrocchia possano trovarsi come a casa loro,
respirando un clima di fede e di fraternità, e
siano in grado così di scoprire la gioia
dell’impegno, la capacità del servizio, la
fiducia nel futuro. Carissimi parrocchiani, la
Diocesi di Roma conta anche su di voi per la
riuscita del grande sforzo di evangelizzazione e
di rinnovamento avviato col Sinodo pastorale. È
un grande progetto, per la cui realizzazione
occorre che ogni parrocchia, ogni associazione e
movimento ecclesiale, ogni cristiano di Roma,
raccolga le sfide dell’odierna società ed offra
le opportune risposte. E devo dirvi che le
informazioni che ci giungono da questa Assemblea
Sinodale che intensamente lavora in questi mesi
sono molto incoraggianti.
8. “La gioia del Signore sia la vostra forza”.
La parola di Dio, proclamata in questa assemblea
liturgica, viene opportunamente ad incoraggiarci
nell’itinerario della nostra vita cristiana.
Cristo è la pietra viva, fondamento della
speranza e dell’impegno di ogni credente.
A lui siamo invitati a volgere fiduciosi lo
sguardo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente”! Stringiamoci a lui e anche noi saremo
“impiegati come pietre vive per la costruzione
di un edificio spirituale”: per la costruzione
della sua Chiesa, di questa Chiesa il cui
simbolo rimarrà la costruzione materiale della
vostra chiesa dedicata a San Giuseppe Moscati.
Vi auguro che sia centro della vostra vita
cristiana ed umana e che sia per voi una
benedizione e una ispirazione che accompagni la
vita di ciascuno.
Amen!